Epilogo
Avevo le mani atrofizzate e la punta del naso ghiacciata, mentre digitavo senza sosta sulla tastiera del computer.
Controllai l'ora sullo schermo.
Ancora mezz'ora e quel venerdì infernale in ufficio sarebbe terminato. I programmi del weekend prevedevano cinema e pizza fuori con le ragazze per questa serata e due giorni alle terme con Melissa.
Ne aveva davvero bisogno.
Erano mesi ormai che lei e Alex provavano ad avere un bambino, ma la cicogna sembrava avesse preso il giro largo prima di arrivare a casa Caputi-Basso per lo sclero di mia mamma Adelina e il nostro che dovevamo sopportarla a ogni pranzo della domenica.
Forse la cicogna aveva il terrore di incontrare mia madre sul tetto di casa.
Per sicurezza aveva regalato a mia sorella una scorta di test di gravidanza svaligiando tutte le farmacie del circondario. "Per ogni emergenza" diceva lei.
Se mia sorella mi ascoltava avrebbe dovuto dire ai miei di essere incinta solo quando la pancia sarebbe stata impossibile da nascondere, altrimenti il mio primo nipotino avrebbe assorbito tutte le onde dei neuroni agitati dei futuri nonni. Mio papà si era già alzato di grado il suo ruolo: dal re della griglia era diventato il super nonno in cucina con tanto di stemma di Superman.
Ritornai alla mia relazione, quando il telefono dell'ufficio squillò.
“Dreams&Co, buongiorno” dissi in tono professionale.
“Caputi” tuonò una voce dall'altro capo della cornetta. “Quando imparerai che è una telefonata interna?”
Sabrina Rottweiler Kent con il suo solito cipiglio.
“Sì, scusi Sa..”
“Ti avevo chiesto quella relazione sulla mia scrivania entro le cinque” mi interruppe. “Sono quasi le sei e non ho ancora visto niente.”
Corrugai la fronte. “No, gliela ho inviata. Si vede che c'è un errore sul sistema e..”
“Non mi interessa, fammela avere.”
Tututututu.
Aveva già riagganciato.
Controllai la mia casella di posta, cliccai sulla email sotto processo e la invia – di nuovo- a Sabrina. Con tanto di notifica di lettura.
Mi lasciai cadere sullo schienale della mia poltrona, il collo indolenzito a forza di scrivere al computer. Mi massaggiai la nuca con le mani, mentre giravo in tondo sulla mia nuova poltrona di pelle nera.
Non avevo avuto nessuna promozione, l'ufficio era rimasto lo stesso come la finestra con vista mattoni rossi, ma almeno La Rottweiler ora mi dava del tu ed ero riuscita a strapparle una poltrona nuova facendo leva sui miei cervicali.
Credetemi, ottenere quel sì era stato come scalare l'Everest col ciclo e una gamba ingessata.
Estenuante e doloroso.
Quando la sedia smise di girare il mio occhio cadde sul secondo cassetto della mia scrivania.
Ridussi gli occhi a due fessure mentre continuavo a chiedermi: “lo apro o non lo apro?”.
Toc Toc.
Il leggero bussare alla mia porta mi salvò in corner.