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giovedì 6 aprile 2023







   Capital S 


    ETHAN

     Tre anni dopo

 

 

 

Vi ricordate l’inizio di questa storia?

Freddo, algido, imperturbabile. Intrattabile. Solo per menzionare alcuni epiteti con cui per anni mi avevano dipinto nel mondo degli affari.

‘Avevo il pieno controllo di ogni situazione’, per autocitarmi.

Be’, scordatevi questa immagine di Ethan Sanders. 

Non avrei mai pensato che vedere mia moglie con le gambe aperte mi avrebbe causato sudori freddi e mani tremanti come un malato di Parkinson; quando Holland, nel pieno della notte, aveva pronunciato le famose sei parole “mi si sono rotte le acque”, la logica era andata a farsi benedire, così come gli esercizi di respirazione. 

Il corso preparto? Inutile. Segnatevelo. 

Mentre sfrecciavo per le strade della Grande Mela come se gareggiassi per la Daytona 500, mia moglie – il dolore l’aveva trasformata in una versione incinta di Linda Blair – aveva sostituito quelle stronzate di inspira ed espira con “ti odio”, “non useremo più il sesso per fare pace, parleremo così tanto da sembrare un fottuto programma di Oprah.”

E a ogni suo grido di dolore, io avevo scordato come si facesse a respirare, le mani strette così forte sul volante da far sbiancare le nocche.

Non saprei dire quante interminabili ore dopo, eccoci in una stanza del New York-Presbyterian; il mio fuoco d’artificio circondata da macchinari, la schiena sostenuta dai cuscini, il viso pallido e sofferente. 

Mi aggiravo in lunghe falcate per la stanza come un leone in gabbia, le dita ripetutamente fra i capelli. Il cuore poi saltava un battito ogni volta che il monitor dei parametri vitali emetteva un bip, ma non era quello il momento di farsi ricoverare per un infarto. Non quando tua moglie stava per partorire tuo figlio. E, se fosse stato per me, anche l’unico. 

Fabbrica chiusa, Ethan jr in congedo anticipato.

Alle nostre nozze, in quella chiesa dove tutto era iniziato, avevo promesso davanti a Dio e alle nostre famiglie che mi sarei preso cura di lei. Non mi era stato sempre possibile, quel giorno era ancora vivido nella mia testa. La pozza di sangue in bagno, Holland spaventata che si teneva la pancia, le lacrime e la corsa folle in ospedale. 

Nonostante la nostra vita fosse costellata quasi interamente da momenti felici, c’erano giorni in cui riuscivo a vedere solo lo sguardo spaventato e triste di Holland. 

Chiusi gli occhi. Mi ero ripromesso che niente e nessuno avrebbe adombrato di nuovo il suo volto di dolore. Era ora di dimostrare il “mi prenderò cura di te” non a parole, ma con i fatti. 

Ma, cazzo, sembrava incredibilmente piccola, nella stanza bianca e asettica. Fragile. E la mia testa era affollata di paure, un groviglio incasinato di emozioni. 


“Tesoro…”, sussurrò Holland.

Mi precipitai da lei e le accarezzai la guancia con dolcezza. 

Sei il suo supereroe, il suo principe stronzo. Ragiona e proteggila! 

“Mi sottoporrò alla vasectomia. Niente più figli, non dovrai più soffrire.”

“Sono solo in travaglio, Ethan. Fa un male cane, ma possiamo optare prima per una epidurale, anziché essere così drastici?”

La fissai, mortalmente serio. “Immagina di poter far sesso con me senza preoccuparti di avere poi una squadra di calcio da crescere e sfamare.”

“Wow! Ha proprio ragione la Keller, le tue doti di negoziazione sono leggendarie.” Sorrise, ma un’altra contrazione le portò via il fiato.

“Sto tenendo fede alle parole farei qualunque cosa per te.”

Lo sguardo di Holland si addolcì. “Ethan…”

Mi chinai su di lei e appoggiai la fronte alla sua. C’era stata solo un’altra occasione in cui mi ero sentito altrettanto inutile. Se avessi potuto, le avrei iniettato io stesso l’epidurale pur di alleviare il suo dolore. Io mi sarei inoculato in vena direttamente del Macallan 25, ma dubitavo di trovare del whiskey nei distributori automatici. Visto che finanziavo ogni anno il Presbyterian con cospicue somme, avrei fatto aggiungere dell’alcol nel reparto nascite per tutti i futuri padri.

“Andrà tutto bene” parlò lei, come a leggermi nella mente. 

Poco più di un anno prima avevamo perso un bambino. Il dottore ci aveva detto che l’aborto spontaneo nei primi tre mesi era purtroppo molto frequente. Era stato doloroso, uno di quei giorni che non aveva nulla delle favole. Una perdita che ti portava a sentirti sbagliato e a chiederti ripetutamente dove avessi commesso l’errore, perché proprio a noi. Ma lo avevamo affrontato come ci eravamo ripromessi anni addietro a Bryant Park. Insieme.

“Se nostra figlia assomiglia a te almeno per metà, sono rovinato.”

Sì, aspettavamo una femmina. Ero del tutto fottuto, già lo sapevo. 

La bocca di mia moglie – che amavo da impazzire – si aprì in un sorriso furbo. “Elizabeth Ellender Underwood Sanders sicuramente metterà in ginocchio i Capital S di New York.”

Piegai la testa di lato. Stavamo litigando da settimane per il nome. Holland insisteva per Elizabeth Ellender, ma a me non faceva impazzire. “Ne abbiamo già discusso. Che nome è Ellender? Verrà bullizzata subito all’asilo e non sarà un bene per quei marmocchi.”

“È qualcosa di nuovo e non di già sentito.”

Alzai le mani. “Pensa a quei poveri bambini che dovranno vedersela con il sottoscritto geloso e pure incazzato. È per la loro incolumità.”

Holland sbuffò, divertita. “Cosa propone allora il papà?”

Papà. Sentii qualcosa pizzicarmi gli occhi solo all’udire quelle due sillabe. “Le serve un nome importante” mi schiarii la voce. “Che faccia tremare le chiappe a tutti quando entrerà in una stanza. Elizabeth Margareth Underwood Sanders. Lo imparerà a scrivere probabilmente al college, ma…” Mi interruppi non appena notai gli occhi sorpresi e lucidi di mia moglie. 

“Margareth?” sussurrò, pallida e stanca.

“Tua madre ha cresciuto una donna meravigliosa, l’unica che desideri per mia figlia. Credo abbia un grosso merito.”

“Grazie.” Mi prese il viso fra le mani. Cristo! Mi stava guardando con quegli enormi occhioni color del whiskey invecchiato a cui non sapevo mai resistere. “Ti amo, Ethan Sanders” bisbigliò sulle mie labbra. Dio, non mi sarei mai stancato di sentirglielo dire. “E sono così grata alla vita di averti come compagno e padre dei nostri figli.”

Figlia, singolare. La fabbrica è chiusa da oggi” rimarcai, strappandole un ghigno. “Ti amo anch’io, fuoco d’artificio” dissi, prima di baciarla, fino a quando non mi stritolò le dita per via di una nuova contrazione. Le infilai i capelli dietro l’orecchio e le tenni il viso nell’incavo della mia mano, lo sguardo determinato che vinceva e faceva tremare la sala riunioni. “E ora facciamo nascere questa piccola.”

Alcune ore e un taglio cesareo d’emergenza dopo, fissavo incredulo ed emozionato le mie due persone preferite al mondo. E non mi vergognai di piangere quando Holland canticchiò sotto voce il ritornello di Have a little faith in me per cullare Elizabeth Margareth Underwood Sanders.

“Ehi…” mormorò mia moglie, facendomi posto nel letto accanto a sé.

Mi distesi al suo fianco con nostra figlia fra di noi. Nostra figlia

Il cuore in gola, la mente annebbiata, lo stomaco chiuso, le mani tremanti. Erano questi i sintomi della felicità? 

“Sei stata bravissima” le sussurrai, avvicinando le labbra alle sue. 

I suoi occhi morbidi come il velluto passarono dal fagottino che teneva stretto fra le braccia a me. “Non è perfetta?” chiese, in pura venerazione.

Mi persi davanti all’immagine delle mie due donne. Mia moglie che aveva letteralmente rivoluzionato la mia vita e che aveva accettato e amato i miei spigoli, e la nuova arrivata di cui ero già pazzo d’amore. 

Alzai la testa e risposi al sorriso ebbro di felicità di Holland, gli occhi che pizzicavano ancora. “Già, perfetta.”

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