A CAPITAL S CHRISTMAS SHORT STORY
A New York tutti lo conoscono come Capital S: solo soldi, successo e un cuore blindato dietro completi su misura. Ethan Sanders è l’editore più temuto della Grande Mela, sempre controllato e impenetrabile. Nemmeno le luci scintillanti e la magia della città sembrano in grado di smuoverlo.
Niente e nessuno… tranne Holland, determinata a scongelare il suo cuore nel periodo più romantico dell’anno.
Tra la cornice di una Manhattan addobbata a festa, una fidanzata sotto steroidi natalizi e un imperdibile party a tema ugly sweater, Ethan scopre che forse il Natale non è poi così male.
S for Santa di Elisa Gioia è un breve racconto di Natale che si inserisce tra l’ultimo capitolo e l’epilogo di Capital S. Si consiglia la lettura solo dopo aver terminato il romanzo.
CAPITOLO 1
STEROIDI NATALIZI E MAGLIONI COLOR VOMITO DI ELFO
Ethan
Dall’alto del mio ufficio al sessantatreesimo piano, New York sembrava un perfetto biglietto d’auguri natalizio pop up.
La pista di pattinaggio di Bryant Park brillava sotto le luci bianche, affollata di gente che rideva, cadeva e si rialzava al ritmo di Frank Sinatra. Gli chalet del Winter Village disegnavano un piccolo villaggio incantato con i tetti coperti da un velo sottile di neve e le vetrine illuminate come scie di stelle.
Sembrava una di quelle giornate scritte da un autore di film natalizi con troppa fiducia nell’umanità.
Io odiavo tutto questo.
Il Natale, la gioia forzata, la gente che correva con ridicole sciarpe colorate attorno al collo e le braccia stracolme di pacchi regalo in un delirio collettivo, le stupide playlist di Michael Bublé che infestavano anche i cubicoli della mia società come una maledizione.
Eppure, eccomi qui. Ethan Sanders, integerrimo CEO della Sanders Publishing e orgoglioso Grinch per vocazione, fidanzato con Holland Underwood. La donna che citava Love Actually come se fosse la Bibbia, che decorava casa come una vetrina di Macy’s e che, per qualche motivo che sfuggiva alla mia logica, aveva deciso di amarmi.
Se Scrooge aveva tre spiriti natalizi, io ne avevo uno solo: il mio fuoco d’artificio.
Ero sicuro che avesse un piano accuratamente dettagliato con tanto di file Excel per salvarmi e trasformarmi da Grinch a protagonista di un film di Hallmark in venticinque giorni. Eravamo al ventitré di dicembre e la sua missione poteva considerarsi un fallimento, anche se la sera prima era riuscita a convincermi con i suoi dannati occhioni a guardare quella stupida rom-com sul destino e un guanto.
Era un’incantatrice. Ma almeno dopo avevo ricevuto una fantastica scopata di consolazione.
Holland amava il Natale con la stessa dedizione con cui io amavo il controllo, l’efficienza e i report trimestrali in positivo. E, andava sottolineato, perdermi nel regno della lussuria con la mia donna.
“Ehi, mi stai ascoltando?”
Distolsi lo sguardo da una vibrante e luccicante Manhattan e lo posai sull’uomo che, nel mondo legale e finanziario di New York, veniva chiamato Faccia da Schiaffi. Il cacciatore delle peggior teste di cazzo della Grande Mela, una leggenda delle cause vinte.
Quando la sua piccola Triumph Bonneville compariva davanti al tribunale, i suoi avversari sapevano già quale sarebbe stata la sentenza. Qualcuno avrebbe perso, e non sarebbe stato lui.
Aaron si accomodò sulla poltrona libera, impeccabile nel completo di sartoria e il viso rilassato di chi già si immaginava su qualche pista da sci per le vacanze.
“Sì, scusa. Dicevi?” Cliccai con il mouse sullo schermo e, in un lampo, il computer mi restituì uno sproposito di immagini di orrendi maglioni natalizi. Le ventole del portatile ronzavano come a ricordarmi che stavo sprecando troppo tempo dietro la cazzata del dress code.
“Non hai sentito una parola, vero?” Aaron si accigliò, preoccupato. “Guai in paradiso?”
Mi appoggiai all’indietro contro lo schienale e incrociai le dita. “Attualmente il mio paradiso è un campo minato di decorazioni e ghirlande. Sembra che siano passati degli elfi a vomitare brillantini che ritroverò per casa fino a Pasqua.”
Il mio migliore amico mi guardò senza capire. Ovvio, i suoi problemi all’ordine del giorno erano scadenze processuali, pendenze per frode e clienti in odore di riciclaggio. Non di certo eggnog alcolici sorseggiati a ritmo di All I Want for Christmas Is You.
“Promettimi di non ridere, te lo ordino come tuo superiore.”
“Tu non sei il mio superiore.”
“Chi è che ti stacca gli assegni per metà delle tue crociate pro bono?”
“Okay, non riderò” giurò in tono solenne, ma il sorrisetto era una chiara presa per il culo.
Girai il portatile con lo schermo rivolto verso di lui, la schermata sul sito www.knitebeforechristmas.com mostrava un disgustoso pullover da uomo di Natale con la scritta North Pole Dance.
Aaron stava già ridendo di gusto, mentre immortalava quella tragedia con una foto sul telefonino. “Questa la salvo per il prossimo articolo di Bloomberg Businessweek.”
Ridussi la finestra del sito e lasciai che un selfie sfuocato di me e Holland, tornasse a impossessarsi del mio schermo. “Ricordami perché non ti ho ancora licenziato.”
“Perché mi ami, anche se non vuoi ammetterlo.” Accavallò una gamba sull’altra e abbozzò un ghigno arrogante. “D’accordo, amico, ti concedo un’attenuante se mi dici perché stai comprando un maglione con un alce che è un crimine contro l’umanità. Ho visto gente essere arrestata per molto meno.”
“Smettila!” Gli lanciai una penna, ma la scansò. Lui e i suoi dannati riflessi pronti grazie alle lezioni di boxe. “È per la festa aziendale di Holland e il dress code è a tema ugly sweater.”
Aaron fischiò. “Stai toccando il fondo, amico.”
Gli tirai un’altra penna, che schivò alla grande.
“È arrivata a casa con questo invito e mi ha pregato di accompagnarla.”
“La stai facendo sembrare come Pearl Harbor.”
“La mia fidanzata in questo periodo è una piccola e diabolica Kevin McCAllister. Sembra strafatta di steroidi natalizi, è completamente fuori controllo. Pigiami coordinati, golf che violano i diritti umani, la cucina è una fabbrica continua di biscotti alla cannella e le playlist natalizie partono in loop dalle sette del mattino. È perfidia.” Mi alzai dalla Presidential e mi avvicinai alla finestra a parete, le mani affondate nelle tasche del due pezzi Huntsman. “Io odio il Natale. Ti ricordi dov’ero lo scorso anno? Al Carlyle, da solo con i miei file Excel e una bottiglia di Château Margaux del 2000. Indimenticabile.”
“E triste. È davvero incredibile la magia che è riuscita a compiere Holland in così pochi mesi. Ti tiene per le palle.”
“Si sono suicidate appena ho cercato quei discutibili pullover su Google.”
Ridacchiò soddisfatto. “Ma è una donna bellissima. Capisco perché non riesci a toglierle gli occhi di dosso.”
Affinai lo sguardo. “Attento…”
Aaron alzò le mani in segno di difesa. “Non c’è mai stata competizione e poi sono felice, cazzo, di vederti finalmente in ginocchio per una donna. Tu, Ethan Sanders, stronzo anaffettivo, ti stai impegnando sul serio con lei.”
Mi passai due dita sul nodo della cravatta per allentarla un po’, lo sguardo perso davanti a me. Il traffico si era intensificato sulla Sesta a causa del nevischio e dei piccoli cantori si erano fermati fuori dalla 42nd Street, davanti alla metro.
Potevo scorgere il fiato che usciva dalle loro bocche nel freddo.
“Ansia?” mi prese in giro Aaron alle mie spalle.
“No, affatto” risposi sicuro, senza tentennamenti.
Ero sempre stato controllato.
Meticoloso.
Programmato per essere impermeabile alle emozioni.
Non avevo concesso un solo cedimento nel mio bunker vicino al costato.
Non ero mai stato materiale per il Club E Vissero Per Sempre Felici e Contenti.
Forbes mi aveva dedicato tre copertine di fila e mi dipingeva come spietato. Inarrivabile. Intoccabile. Impenetrabile.
Ma la verità era che con Holland ero completamente disarmato.
La corazza non serviva più a nulla, ogni mia difesa si sgretolava davanti al suo sguardo.
Ero un totale idiota quando si trattava di lei.
Spogliato fino all’osso di ogni maschera.
In poche parole: ero fottuto.
Mi appoggiai con la spalla al vetro gelido del mio fortino. Era sempre stato il mio Fort Knox, il mio regno a misura d’uomo. Ora il tocco di Holland era ovunque. Nelle nostre fotografie sparse per l’ufficio, nella positive potato che mi aveva regalato per il caso Mollie Garcia con la scritta keep going! accanto alla tazza BEST BOSS EVER che troneggiava sulla mia scrivania. Potevo ancora vederla entrare dalla porta, l’abito che le fasciava divinamente ogni curva, le labbra piegate nel suo adorabile broncio e il caffè di Dean & DeLuca destinato al suddetto stronzo.
Sorrisi al ricordo dei mesi passati in queste quattro mura.
Mi voltai verso il mio migliore amico, testimone della battaglia emotiva che si era consumata in questo stesso ufficio. “Ansia? No, una paura fottuta perché l’idea di un per sempre con Holland non mi spaventa più.”
Ero perso in lei.
“Dio, le vuoi regalare l’anello?”
“La ricerca del pullover di Natale è la prova definitiva di quanto ami quella donna. Per ora, se lo dovrà far bastare.”
“Perché non ti fai aiutare da Joanna?” La voce del mio migliore amico mi distolse dai miei piani di vita in due.
Presi di nuovo posto sul mio trono e sospirai. “Perché la Keller riuscirebbe a trovare il maglione più orribile sulla faccia della terra, pur di farmi sembrare ridicolo. La sua tazza preferita recita: caro boss, lavoro qui perché non ho ancora vinto alla lotteria.”
“La Keller e Holland erano un’ottima squadra per far fronte ai temutissimi Modi Prepotenti alla Ethan.” C’era divertimento nel suo tono.
Alzai gli occhi al cielo, ma mi morsi il labbro per far morire sul nascere un sorriso. “È ancora così. Coalizzate a farmi perdere la testa sul lavoro e a casa.” Mi passai una mano fra i capelli. “Perché non vieni anche tu alla festa? Sarà una tortura e avrò bisogno di manforte. Porta qualcuno.”
“Non posso imbucarmi alla cena aziendale di Holland e fare il più uno del più uno.”
Mi grattai il mento, pensieroso. “Non hai negato la seconda parte della frase. Interessante.”
Sbuffò. “Parliamo di cose serie. Sono qui perché il giudice ha fissato la prossima udienza per gennaio. La difesa ha chiesto l’ennesimo rinvio, tuo padre ha i suoi agganci ma il castello sta crollando. Con le nuove testimonianze di Mollie Garcia la nostra posizione è più solida che mai.”
“Voglio che il castello sia ridotto in macerie e che non abbia più alcuna possibilità di avvicinarsi a Holland e alla mia famiglia” sibilai, la voce intrisa di rabbia.
“Ci vorrà del tempo.”
“Il mio caro vecchio amico Sun direbbe che vale la pena aspettare. Prima o poi, il cadavere del mio nemico mi passerà davanti trascinato dalla corrente.”
“State architettando un piano da romanzo giallo?”
Joanna Keller, quella spina nel fianco della mia segretaria, entrò in scena. Ovviamente senza bussare. Sembrava un albero di Natale vivente con tanto di lucine intermittenti al collo. Teneva in mano dei faldoni, probabilmente le ultime schede editoriali da firmare prima della chiusura natalizia.
Ci lanciò una lunga occhiata sospettosa. “Ogni volta che vi vedo insieme mi sembra di stare in una puntata crossover di Suits e Succession.”
“Joanna, ha per caso un’allergia alla privacy? Ha mai sentito parlare del concetto di bussare?”
Con un tonfo, appoggiò sulla scrivania il plico di documenti. “Sono allergica solo a lei, capo. Ci vorranno anni di psicoterapia per superare tutto questo tempo corrosivo al suo fianco.” Mi stilettò a ogni parola con la sempre presente occhiataccia da ‘sta trafficando gattini indifesi in Messico’.
“La minaccia non funziona, non l’ho ancora licenziata. Anche se avrei una giusta causa con quella stupida collana. Vero, Aaron?”
“L’ho presa con Holland da Bloomingdale’s. Guardi, ha perfino tre giochi di luci” commentò esaltata come un bimbo la mattina della Vigilia.
Scossi la testa, sconsolato. “Un giorno mi pentirò di non aver avviato le pratiche di licenziamento.”
“Non alzi gli occhi al cielo con me, mister Calma Inquietante.”
“Che ti dicevo? Holland versione boomer” parlai rivolto ad Aaron.
Joanna si girò e guardò il legale con lo stesso mio amore per un bilancio chiuso in utile. “Ecco il mio uomo preferito di tutta Manhattan.” Gli diede un buffetto sulla guancia e gli sistemò il colletto della camicia come una zia troppo premurosa.
“Come? Non sono io il tuo preferito?” la canzonai.
Mi fulminò stecchito sulla Presidential. “Lo sarà il giorno che andrò in pensione e mi firmerà la liquidazione.”
“Forse oggi questa giornata potrebbe competere per il podio.” Aaron si sistemò il nodo della cravatta, un sorriso diabolico sulle labbra. Sapevo dove stava andando a parare, il bastardo.
“Leccaculo” tossii.
Ma lui finse di non sentirmi. “Joanna” disse con quella voce con cui ero sicuro si comprasse ogni giurata femminile. Da audiolibro erotico, sospirava sempre Holland. Che stronzata! “Oggi ha una commissione importante, della massima urgenza.”
Joanna mi fissò. “Si scordi che faccia gli straordinari, è il giorno prima della Vigilia e tra le mie mansioni non ho ancora trovato la voce babysitter schiava di un capo arrogante con manie di protagonismo.”
Chiusi gli occhi e contai mentalmente fino a dieci, Aaron contenne a stento una risata. “No, Joanna, peggio. Sanders ha ricevuto un invito per la festa di Natale di Holland e il dress code prevede un imbarazzante e improponibile maglione di Natale. Ha una missione: trovare il più brutto.”
“Oh, qui vincerà facile” sospirai ormai rassegnato e in minoranza. “Rendermi ridicolo è la prima voce nella sua lista dei desideri.”
“Trasformarla per una notte da Dio onnisciente a un comune mortale con un quoziente intellettivo nella media?” Sul volto della mia segretaria si disegnò un’espressione malefica, la somma di tutte le mansioni e gli straordinari che voleva farmi pagare. “Ho un debole per quelli con le renne che si illuminano.”
Ero sicuro che sarebbe riuscita a trovarmi pure un unicorno che cagava paillettes.
“Non si avvicini alla mia carta, cambierò il pin o la bloccherò, se dovesse essere necessario” le intimai. Sollevai a malapena lo sguardo dal monitor. “Oltre a rendermi la vita lavorativa un inferno, ha altro da dirmi o può congedarsi?”
“Sono venuta a ricordarle l’appuntamento delle diciotto a Melrose Street e la call con Winter Ellis. E la smetta di essere così Ethan. A stare sempre imbronciato, le verranno un sacco di rughe prima dei quarant’anni.”
“Altro non richiesto?”
“Possiamo uscire in anticipo?”
“Possiamo… chi?”
“Tutti i suoi schiavetti della Sanders Publishing.”
“Nessuno uscirà prima.”
Si posizionò sulla punta del naso gli occhiali e mi trafisse con l’occhiata arrostipalle da traffico di gatti. “Mancano due giorni a Natale.”
“E io sono Scrooge.”
“Un po’ di spirito natalizio non ha mai rovinato nessuno.”
“Il sentimentalismo non fa parte della mia politica aziendale.” Indicai distrattamente la finestra alle mie spalle. “Prima di confinarsi in cucina a scambiarsi segreti sulla ricetta del tacchino con gli altri miei dipendenti, che pago profumatamente per lavorare fino all’orario previsto dal contratto, ordini da Starbucks quattro caffè d’asporto per i cantori laggiù di fronte alla metropolitana.”
“Oh, oh…”
“Questa è un’informazione ricattabile.”
Aaron e la Keller mormorarono sorpresi all’unisono, come se fosse appena accaduto il miracolo sulla Sesta Stradacome in quel film mediocre che Holland era riuscita a incastrarmi e a farmi vedere..
“Non c’è niente da guardare, smammate. Tu non hai un caso umano da salvare dalle grinfie della Legge?”
Aaron si alzò e si lisciò la giacca del completo, pronto a rendere un inferno la vita di qualche malcapitato avvocato là fuori, magari un praticante alle prime armi. “Mi aspetto per domani mattina un servizio completo sul mio telefonino.”
“Piantala!”
“Mi preoccupo di dover contenere uno scandalo.”
Rise. Rise, lo stronzo.
“Joanna…”
“Signor Cage, non cercano una segretaria nel suo studio di avvocati?”
Lui la prese sottobraccio e le mormorò qualcosa a bassa voce con quel suo tono mieloso.
Ruffiano venduto.
“Ah, capo. Allora dirò ai suoi dipendenti che oggi l’uscita è anticipata alle diciassette e che augura loro buone feste” mi punzecchiò la mia arcigna segretaria, volendo avere l’ultima parola come sempre.
Stavano per uscire assieme dall’ufficio, quando Aaron si fermò, la mano sulla maniglia e un sorriso diabolico.
“Cosa?” borbottai.
“Holland Spirito del Natale Passato: uno, Ethan Scrooge: zero.”
Gli tirai addosso una terza penna, ma andò a sbattere contro il legno della porta.
Grugnii e riavviai lo schermo del portatile. Il cursore era fermo su un pullover color vomito di elfo, lucine al led e la scritta Jingle Hell.
Cliccai su aggiungi al carrello.
Buone feste del cazzo!
Capitolo 2
BACI AL GUSTO DI BOLLICINE SGASATE
Holland
Avrei ucciso il mio fidanzato.
Quelle sarebbero state le mie ultime ore da cittadina onesta, la mia immacolata fedina penale macchiata per sempre.
Avrei passato il Natale dietro le sbarre nella galera di Sing Sing con un’accusa di vent’anni di omicidio premeditato per aver ucciso a colpi di Louboutin So Kate il famigerato Ethan Sanders, l’editore più temuto e potente della Grande Mela. I giornali scandalistici mi avrebbero dipinta come una spietata arrivista, una vedova nera, la nuova gold-diggerdella East Coast. Il mio faccione sarebbe stato sbattuto ovunque nella foto segnaletica con tanto di cerchietto da renna e il maglione che citava gli Wham!
Okay, forse l’ultimo legal thriller che stavo leggendo nel kindle mi stava prendendo troppo e ora stavo farneticando. Forse perché le mie fantasie indotte da due bicchieri di vino dal retrogusto di tappo erano più divertenti della realtà. Finii in un sorso il liquido trasparente – definirlo spumante era un’eresia- e buttai il red solo cup nel cestino più vicino.
Ero alla festa aziendale di Prologue, il nuovo supplemento di The Fold per cui lavoravo come editor-in-chief da poco più di due mesi. Eravamo un progetto editoriale giovane, ambizioso e a basso budget confinato sopra una lavanderia a gettoni nel Lower East Side.
Quella tristissima serata al risparmio ne era la prova.
Eravamo ospitati in un dive bar vicino all’ufficio, con bicchierini di plastica e decorazioni dozzinali racimolate forse da Dollar Tree. Di vero c’era solo un alberello nell’angolo vicino alla pedana del karaoke.
Ero l’ultima arrivata, con una posizione di tutto rispetto, ma i miei colleghi credevano che fossi lì per la mia storia con l’editore della Sanders Publishing. E il mio capo, Walt Greene, ciliegina sulla torta, era un misogino maschilista, piacione e pure tirchio. Non gli mancava davvero nulla.
In quel momento era sul palco, microfono alla mano, intento a recitare il suo panegirico sui “fantastici risultati dell’ultimo trimestre”, dopo aver snocciolato i piani per il prossimo anno e averci rifilato un pippone noioso sulla passione e la dedizione del team.
A quanto pare per il caro Walt non era abbastanza. Forse voleva una sacca di sangue. Oltre agli orari da schiavismo e la misera paga.
Mi faceva perfino rimpiangere Ethan che mi abbaiava ordini.
Ethan che avrei ucciso per davvero.
Avrebbe dovuto essere lì con me a darmi man forte già da un’ora.
I due messaggi di sessanta minuti prima recitavano:
sono imbottigliato sulla Madison
sto arrivando
Poi silenzio radio.
Le minuscole e la mancanza di punteggiatura mi irritarono ancora di più.
Mi guardai intorno. Il locale era immerso in una luce giallognola da obitorio e l’aria era impestata da cipolla fritta e malto. I miei colleghi si stavano strafogando di cocktail annacquati e Buffalo wings, incitavano e applaudivano il loro capo in attesa del regalo.
Di sicuro una gift card di Starbucks. Da ben cinque dollari. Non bastava nemmeno per un Chocolate Mousse Latte per le feste.
Un colpo di tosse mi distrasse dai miei piani di omicidio. Greene mi si avvicinò e mi consegnò la busta. “Buon Natale, Holland.” Neanche il tripudio di poliestere altamente infiammabile che indossavo riuscì a distrarre il suo sguardo lascivo dal mio seno.
Ethan l’avrebbe spedito fuori sul marciapiede a forza di calci in culo. E io l’avrei aiutato volentieri.
Prologue non era una realtà editoriale importante e avviata come la Sanders Publishing, la Penguin o il New Yorker, ma era una cosa solo mia. Un’avventura in cui stavo investendo tempo e sudore. Avevo passato le ultime ore a decidere se pubblicare il racconto di un aspirante scrittore che si autodefiniva “il Bukowski della Gen Z”. Non lo era, ma ogni giorno tornavo a casa entusiasta, la mente febbrile e sì, la voglia costante di rifare i connotati al mio capo.
Accettai la busta e il viscido ne approfittò per accarezzarmi la mano. “Grazie, Walt.” Sorrisi forzatamente, cercando di non farmi venire un crampo alla mandibola.
“Siamo felici di averti in squadra con noi.” Accompagnò le parole con un’altra carezza non richiesta che durò qualche secondo di troppo.
Mi divincolai dalla sua presa, sperando che il vaffanculo fosse bello leggibile sul mio viso.
Per fortuna i miei colleghi lo richiamarono per un brindisi ‘al miglior capo’ e ai succosi premi di Natale e io ne approfittai per defilarmi verso il bancone del bar. Forse bettola era il termine più adatto per definire quel locale dimenticato dal mondo. Le luci colorate non riuscivano a dargli un’aria festosa, l’odore di birra stantia era troppo pungente e la cassa dello stereo stava passando Brenda Lee per la terza volta di seguito.
Al di là della porta a vetri la neve stava cadendo sempre più copiosa, imbiancando le strade.
Forse Ethan era rimasto bloccato con l’auto.
Controllai di nuovo il cellulare. Nessun nuovo messaggio, solo una notifica da Abby di mezz’ora prima.
Ricordami di non accettare mai più di partecipare al party di Natale di mia suocera. Il dress code prevedeva ‘serata casual’ e mi sono vestita da Mamma Natale. Qui sono tutti in Ralph Lauren, mentre io sembro un cupcake umano.
Allora meglio che non vedi il mio maglione.
I tre puntini comparvero subito sullo schermo.
Come va la tua festa?
Male? Malissimo? Penso che mi pianterò il coltello da Peppermint Martini nel cuore, così da avere una morte rapida.
Spero che tu abbia inserito il mio numero come contatto d’emergenza, almeno avrei una scusa per lasciare questa festa.
Ora devo per forza uscire dal bagno e tornare di là a fingere che mi interessi quale famiglia snob del loro circolino abbia il catering migliore.
Ci vediamo domani per lo scambio dei regali, sempre che tu non debba venire alla mia veglia funebre.
Uscii da Messenger e studiai la home del mio cellulare come se fosse un libro delle risposte. Invece di buttarmi in pista e dire addio alla mia dignità con una canzone stonata al karaoke, ero qui che aspettavo Ethan come un’idiota. Ma ero anche orgogliosa. Troppo.
Non gli avrei scritto preoccupata da brava fidanzata con la sindrome da crocerossina.
Fissai il selfie che ci eravamo scattati nel suo appartamento di Nolita il mese scorso, quando lo avevo obbligato a fare l’albero di Natale. Non convivevamo ufficialmente, ma avevo mezza cabina armadio solo mia e, ora, anche una succursale del Polo Nord da chiamare casa.
Ethan mi diceva che sembravo strafatta di steroidi natalizi, ma lui mi compensava. Era un Grinch in completo Brioni, un orso al limite dell’antisociale, allergico al genere umano. Si ritrovava con un carattere talmente spigoloso che era la gioia di ogni psicanalista.
Però negli ultimi mesi era cambiato, avrei potuto azzardare che si era quasi addolcito. Era entrato nella cerchia dei protetti di mio padre, la signora Mahoney lo adorava e tutta la comunità di Bed-Stuy lo considerava un moderno Robin Hood con le ingenti donazioni anonime che apparivano nelle casse pro quartiere da ben cinque mesi, da quando ci eravamo ritrovati e mai più lasciati quel giorno a Bryant Park.
“Prova, prova.” Greene era tornato sul palco, pronto a sfidare Ben dell’attualità sulle note di Bobby Helms, mentre un mio collega di cui non ricordavo il nome stava vomitando nel cestino dei rifiuti.
Sbirciai nella busta rossa: c’era un buono Amazon da ben dieci dollari! Un capitale per le tasche di Walt.
Mi tolsi il cerchietto con le corna da renna e lo lanciai con sconforto sul bancone.
Ancora cinque minuti, sospirai, e poi sarei sgattaiolata via fino a Brooklyn per partecipare alla serata Bingo di Natale in palestra. Era una tradizione che portavo avanti con papà da quando non c’era più la mamma. Negli ultimi tempi sembrava che Annalise stesse diventando la sua nuova compagna di tradizioni, constatai con un pizzico di amaro in bocca.
Sorrisi al ricordo dei nostri natali in tre, con le sfide ai canti natalizi, gli immancabili DVD con i classici delle feste, le risate a tavola con in sottofondo le battute alla tivù di Tutti insieme appassionatamente. La nostra casa era piena in tutti i sensi. Decorazioni, luci, vita e tanto amore.
In quella di Ethan, invece, si sentiva l’eco del silenzio.
Si nascondeva dietro la facciata da Grinch cinico e menefreghista, ma sapevo che, in fondo, soffriva ancora per un’infanzia vuota e triste.
“Posso offrirti da bere?”
Non avevo nemmeno fatto in tempo ad alzare la mano per attirare l’attenzione della barista, quando una voce calda alle mie spalle mi aveva anticipata.
Una voce che avrei subito approvato per la rubrica audio letture su Prologue.
Mi voltai e il mondo si ammutolì. Le risate sguaiate, la musica, il chiacchiericcio del locale. Tutto sembrò cristallizzarsi quando alzai gli occhi e i miei entrarono in collisione con quelli dello Sconosciuto dalla Voce Sexy, color foglie d’autunno contro azzurro. Per poco non mi persi nell’impatto.
Con un terribile maglione color marciume e le lucine al led l’avrei catalogato senza esitazione nel fascicolo Uomini che non frequenterei mai per dubbio gusto, ma riusciva comunque a spiccare in quel marasma di persone. Persino con quell’espressione truce, fredda quasi stoica, era mozzafiato. Poteva competere con Ethan vestito di tutto punto nei suoi completi scuri.
“Sto aspettando il mio fidanzato” risposi, senza riuscire a distogliere lo sguardo.
Lui me lo restituì. “Uomo fortunato.”
Si sedette al mio fianco e un colibrì iniziò a sbattere le ali nel mio petto quando la sua gamba, stretta nei jeans, sfiorò la mia.
“È tremendamente in ritardo.”
“Imperdonabile.” Si guardò intorno, studiando il dive bar. Qualcuno stava vomitando, di nuovo, c’era chi con tanto di cravatta in testa stile Rambo stava cantando a squarciagola Michael Bublè. “Lasciarti tutta sola a Natale in un locale del genere…”
“Merita un viaggio solo andata all’Inferno, nel girone dei lussuriosi con mesi in bianco senza pietà.”
“Che crudele!” Si portò teatralmente una mano al cuore. “Non dobbiamo essere più buoni in questo periodo?”
“Lui odia il Natale.”
“Ma ama pazzamente lei.”
Inclinai appena la testa. “Non so se posso stare con un uomo che non ama il Natale. Forse sono ancora in tempo per chiedere un nuovo fidanzato.”
Appoggiato al banco con aria indolente, un gomito piegato e uno spicchio di luna sulle labbra, Ethan mi stava studiando nel chiaro scuro di quell’angolo nascosto dal mondo. I miei occhi caddero inevitabilmente sulla sua bocca. Mi morsi il labbro per cercare di fermare il sentiero pericoloso delle mie fantasie.
“’Fanculo” lo sentii borbottare.
Mi circondò il viso con le mani e le sue labbra annientarono senza fatica le mie. Ethan era sempre così misurato e tutto d’un pezzo nella vita di tutti i giorni. I suoi baci invece erano impetuosi.
Urgenti.
Indimenticabili.
Non c’era nulla di controllato nelle sue stoccate, nei suoi tocchi. Non c’era logica, solo noi.
Sentivo la sua lingua invadermi la bocca, mentre le sue mani mi risalivano lungo le cosce. Insinuai una mano fra noi due, sotto il suo maglione color marciume e feci scorrere le dita lungo le linee dei suoi addominali.
Qualcuno si schiarì la gola e fummo catapultati di nuovo tristemente alla festa a basso costo del mio giornale. La barista ci stava osservando al di là del banco appiccicoso di birra, l’aria truce. Forse anche lei si chiedeva chi glielo facesse fare di servire spumante al gusto di tappo l’anti Vigilia di Natale a dei dipendenti con dei vestiti da galera.
Ethan ordinò per entrambi, mentre io cercavo di ricompormi come meglio potevo dopo essere stata colta in flagrante come una bimba disubbidiente.
Sentii gli occhi di lui addosso per tutto il tempo. Sul mio viso, sul mio corpo. Ovunque.
Dio, aveva fatto irruzione nel mio mondo senza preavviso. Tipico di Ethan.
Mi voltai e mi schiantai contro un raro sorriso alla Ethan, un sorriso vero. Mi esplose il cuore nel petto perché i suoi sorrisi erano rari ed erano quasi sempre solo per me.
Armeggiai con il cellulare e gli scattai una foto. “Questa va dritta nella chat di gruppo con Joanna e Aaron. A proposito, ti sta bene il pullover” lo presi in giro.
“Il color vomito di elfo va di gran moda quest’anno.” Si chinò su di me e mi posò un bacio dolce e tenero dal sapore di amore che mi arrivò giù dritto allo stomaco. “Ciao, fidanzata.”
“Ciao, fidanzato.”
Quei nomignoli mi affondarono fin nelle viscere. Non mi sarei mai abituata.
Ethan mi sfiorò l’angolo della bocca con il pollice.
“Ho il rossetto sbavato?” sorrisi.
Lui mi passò il dito sulle labbra, lento, lo sguardo fisso nel mio. “Dopo un mio bacio ti sta da dio.”
“Non distrarmi dalla mia arrabbiatura, Mister Sanders.”
“Sei tu che sei illegale anche con un discutibile golf di Natale. Questa sera ho scoperto di essere devoto a un nuovo culto.”
Sorrisi, imbarazzata. Ma la magia finì non appena mi girai e colsi vari colleghi intenti a bisbigliare. Non ci voleva un genio per capire chi fosse al centro delle loro chiacchiere. “Abbiamo movimentato la serata.”
Ethan seguì il mio sguardo. “Ti danno problemi?”
“Lo sai che sono convinti che io sia una loro superiore solo perché vado a letto con Ethan Sanders.” Scrollai le spalle. Mi sarei guadagnata il loro rispetto, pur dovendo sudare il doppio degli altri. “Che ne dici se ce ne andiamo? Questo party mi fa amare pure il club del Bingo over sessanta.”
Ethan lasciò una cospicua mancia sul bancone e fece scivolare il palmo nel mio.
Gli diedi un pizzicotto sul braccio. “Sono ancora arrabbiata.”
“Mi ecciti ancora di più” mi mormorò vicino all’orecchio, trascinandomi verso il retro del bar.
“Dove stiamo andando?” gli chiesi, dando un’occhiata al guardaroba alle nostre spalle.
“A scopare il CEO della Sanders Publishing.”
“Ethan…”
“Ho una nuova fantasia da avverare. Sesso con te in cosplay da elfa incazzata.”
“Non è ancora tempo di scartare regali” protestai debolmente. I miei piedi fecero l’esatto opposto di “è una pessima idea” e lo stavano già seguendo.
Venni spinta all’interno di un ripostiglio, tra scope e scorte di bibite, la stanza illuminata solo da un filo di luci colorate molto anni Novanta.
“Diamogli qualcosa di cui sparlare per davvero.” Ethan chiuse la porta a chiave da dentro e senza rendermene conto mi ritrovai con la schiena contro il muro e le sue dita esperte che si erano già fatte strada su per le cosce, scivolando lente lungo la seta delle calze fino al bordo dei miei slip. “Mi sei mancata.”
Risi sul suo collo. “Ci siamo visti questa mattina.”
Mi sfiorò la stoffa umida e sfiatò un’imprecazione. “Ma tu sei una cazzo di droga, Holland Underwood.”
Chiusi gli occhi, gli affondai le mani nei capelli e lo baciai. Ogni centimetro di pelle scalpitava per essere toccata, mappata, venerata.
Le nostre lingue si intrecciarono e fu l’inizio di una lenta e paradisiaca distruzione.
Amavo vedere Ethan perdere la ragione, con la stessa disperazione di un personaggio shakespeariano. Vivevo per lui che smaniava per me, che bramava un mio tocco come droga.
“La mia prima volta con un Grinch” ansimai, quando scostò il velo di tessuto che mi separava da lui.
“Potrebbe diventare la più bella festa di Natale di sempre” mormorò a fil di voce sulle mie labbra.
Capitolo 3
SANTA SOTTO MENTITE SPOGLIE DA SCROOGE
Ethan
Era. Una. Cazzo. Di. Droga.
Un veleno a lento assorbimento.
Impossibile da fermare.
Inevitabile.
Un solo fugace tocco ed era diventata dipendenza.
Mi era entrata in circolo, giorno dopo giorno, e non c’era cura.
Solo desiderio. Fame. Bisogno.
Il suo sapore mi confondeva, mi stordiva, cancellava ogni logica.
Come scoparmela in quel momento nello stanzino dozzinale di un bar, con l’eco lontano di una musica natalizia, la neve che cadeva fuori dalla finestra, e l’odore di alcol e disinfettante che si confondeva con il suo profumo.
“Saremo il gossip principale del mio ufficio.”
“Sai che non me ne può fregar di meno di quello che pensa la gente” replicai, sfregandole il clitoride con il pollice. L’afferrai per le natiche, la sollevai e l’adagiai senza fatica su un tavolino, rovesciando una torre di bicchieri di plastica puliti e forse delle fatture. “Scusa per quello che sto per fare.”
“Cosa…” Non ebbe il tempo di finire.
Le strappai via le calze e il mio fuoco d’artificio, invece di protestare, schiuse le gambe dandomi completo accesso.
“Ti piace quando non sono gentile?”
“Mi piaci tu” ansimò sulla mia bocca.
Le nostre labbra si cercarono con urgenza, in baci che sapevano di resa.
“Anche tu mi piaci tanto, fuoco d’artificio. Tantissimo.” Le scostai gli slip e infilai un dito dentro le sue pieghe. Era già pronta. Era dipendente anche lei da me, come lo ero inesorabilmente io.
La nostra era una storia che fin dal primo incontro aveva avuto un unico finale possibile.
“Cazzo, fuoco d’artificio.”
Infilai un altro dito e dal piacere Holland si aggrappò alle mie spalle, le sue gambe strette sui miei fianchi la miglior gabbia che potessi chiedere.
Volevo di più.
Sfilai via le dita e le alzai il mento per guardarla dritto negli occhi. Mi tremò l’anima. “Sei un incantesimo senza cura.”
“Mi hai comunque rotto un paio di calze da sessanta dollari.” Le sue mani scesero sul bottone dei miei jeans, dove l’erezione premeva per liberarsi.
“Ti posso comprare l’intero negozio domani mattina” la baciai nell’incavo del collo. Ansimai quando le sue dita aggraziate mi abbassarono con un colpo solo jeans e boxer, e il cazzo svettò contro il basso ventre. “E ti ho comprato una casa” aggiunsi sulla sua bocca.
“Aspetta? Cosa?” Holland mi prese il viso fra le mani, negli occhi il mio stesso velo di estasi e confusione. “Mi hai comprato una casa?”
“Possiamo parlarne in un altro momento?” dissi con voce strozzata, indicando Ethan jr.
“No, ne parliamo adesso o ti spedisco nel girone dei lussuriosi per un mese.” Aveva messo su il tipico broncio alla Holland.
Lasciai andare un lungo sospiro. “Ho trovato una nuova casa per te e tuo padre.”
“Cos’ha quella a Bed Stuy che non va?”
“Oltre al fatto che potresti essere rapinata mentre vai a buttare la spazzatura?”
“Il tuo Patek mi pare stia ancora comodo sul tuo polso.”
“Scommetto che quel quartiere alzi la percentuale di criminalità di tutto lo Stato.”
“Ethan, non essere ridicolo. Ci vivo da venticinque anni e non mi è mai successo nulla.”
“Casa nuova o ti scorto a ogni dannata ora del giorno.”
“Non possiamo permetterci un appartamento in questo momento. Papà è ancora disoccupato.”
“Non era un’offerta, fuoco d’artificio.” Mi avvicinai e le morsi il labbro inferiore. “Rimandiamo a dopo la conversazione?” La mia bocca rimase sospesa sopra la sua, in una lenta agonia per entrambi.
“Dio, sei così Ethan!” Rise, quel suono capace di mandarmi ko come un pugno sferrato dritto allo stomaco.
Lo presi come un sì e annullai la misera distanza che ci separava. L’agganciai per le natiche nude a piene mani e l’incastrai tra il muro e il mio corpo, mappando ogni curva del suo viso, venerando i punti che la facevano impazzire. Indugiai dietro l’orecchio, sull’angolo della bocca, sull’incavo della gola. Le avvolsi una mano sul collo potevo sentire il suo battito furioso sotto i polpastrelli.
“Una cazzo di droga” ripetei quasi più a me stesso.
L’accarezzai senza fretta, disegnai con la punta delle dita ogni linea e ogni curva di quel corpo che conoscevo come il palmo della mia mano.
“Eth…”
“Ti amo” ammisi prima di un lungo bacio. Nessuno era mai stato in grado di mettermi in ginocchio – in tutti i sensi – come quella donna. La mia bocca si modellò alla sua e l’esplorai con pennellate profonde della lingua, inebriato dal sapore di vino e di lei.
Le lasciai un ultimo bacio a fior di labbra prima di sollevarle la gonnellina a balze fino in vita. “Sono così dannatamente fortunato perché ami parti di me che io ancora non mi perdono.”
Le scostai le mutandine e le accarezzai il clitoride con il pollice.
“Ti prego.” Le sue labbra si piegarono in una supplica ansimante.
“Dimmi cosa vuoi, fuoco d’artificio.”
“Entra dentro di me.” Conficcò le unghie nelle mie spalle quando aggiunsi un secondo dito. “Fallo!”
“Come siamo prepotenti” la presi in giro.
“Ho imparato dal migliore.”
Ma poi nessuno dei due parlò più.
Sfilai via le dita e le sostituii con il mio cazzo. Mantenni lo sguardo fisso su Holland, il suo viso segnato dal desiderio, mentre entravo e uscivo da lei centimetro dopo centimetro. La sostenni per i fianchi, la sua schiena contro il muro, e le regalavo stoccate profonde.
Nello stanzino ora riecheggiavano solo i nostri gemiti, i nostri respiri affannosi e il suono umido delle nostre carni.
Appoggiai una mano contro la parete, le sfiorai la fronte e guardai dapprima il punto dove i nostri corpi erano fusi poi salii lentamente con lo sguardo sulla gonna raccolta in vita, disegnai le sue curve nascoste sotto un pullover in poliestere che era un crimine al gusto, contai il tempo dei suoi respiri affannosi che le sollevavano il petto, seguii il contorno del suo collo e poi tornai a guardare Holland in viso.
Così perfetta.
Così mia.
Il cuore tremò a quella verità.
Le catturai le labbra con tutta la forza che mi restava, la divorai appassionatamente. Holland si lasciò andare con la testa all’indietro, il suo viso un mosaico di emozioni impossibili da trattenere. Intrecciò le gambe ai miei fianchi per sentirmi più a fondo, capace di arrivare nelle parti più buie di me.
“Mia.” Aumentai il ritmo delle stoccate, spinsi con più forza dentro di lei.
Venimmo insieme e lasciai che si afflosciasse su di me, mentre mi sorreggevo con l’avambraccio sul muro alle sue spalle.
Nessuno dei due osò muoversi.
Si sentivano solo i nostri respiri ancora spezzati, il battito impazzito del mio cuore che mi pulsava fin nella tempia e una stupida musichetta di Natale al di là della porta.
Rimasi fermo dentro di lei, spogliato di ogni maschera.
Per un minuto.
Due.
Avrei voluto abitare per sempre fra le sue braccia.
Mi staccai dal muro e mi lasciai cadere lungo la parete, portando Holland con me. Le lucine di Natale danzavano sulla sua pelle in una coreografia sgraziata. Lei si accoccolò meglio tra le mie braccia e con le dita le scostai una ciocca ribelle.
“Questo locale si è appena guadagnato cinque stelle su Yelp.”
Sentii il riverbero della sua risata contro la gabbia toracica e non c’era suono che amassi di più. Dopo il mio nome sulle sue labbra, ovvio.
“Ethan?”
“Mmm?” risposi distrattamente, mentre giocherellavo con i suoi capelli.
“Grazie. Per la casa, per amarmi così tanto ma, soprattutto, per prenderti cura di mio padre.”
Abbassai la testa e il sorriso di Holland era largo e brillante, come se fosse già la mattina di Natale con l’albero pieno di regali da scartare.
Per questa donna avrei affrontato il mondo intero. Dio, non riuscivo più nemmeno a concepire un universo senza di lei.
Avvolsi i suoi lunghi capelli rossi attorno al palmo e mi chinai su di lei per un profondo bacio, mentre lei mi saliva a cavalcioni. Mi puntò addosso quegli occhi color autunno che erano diventati la mia condanna.
“Se ti muovi ancora così, fuoco d’artificio, rischiamo di finire sui giornali domani mattina e Aaron non sarà contento di dover lavorare la Vigilia di Natale per contenere uno scandalo.”
Sorrise, premendo le labbra all’altezza del petto sopra al pullover color vomito di elfo. “Sei il mio Capital S. Sincero, sorprendente, scandalosamente affascinante anche con un maglione di Natale color… decomposizione.”
Le diedi un pizzicotto sul fianco.
“Stronzo te lo sei guadagnato dopo aver seminato il terrore negli uffici per anni, ma ora aggiungo alla lista anche il mio Santa preferito sotto mentite spoglie da Scrooge. E soprattutto sei sconvolgente. Tu hai sconvolto la mia vita, Ethan Sanders.” Lo sguardo di Holland si fece sognante e intrecciò le braccia dietro al mio collo.
Mi si mozzò il respiro.
Cazzo, quanto l’amavo.
Ero pazzo di lei.
L’avrei sempre guardata con incredula meraviglia, come un miracolo.
Ero stato a un passo dal perderla per sempre, tutto per i piani di vendetta di mio padre.
Avevo perfino contato i giorni che era stata lontana da me.
“Sei l’unico capace di farmi tremare il cuore, l’unico con il quale voglio condividere i miei sogni e le mie paure, l’unico dal quale vorrei l’ultimo spicchio di pizza e l’unico uomo con cui vorrei condividere il mio tempo e la mia vita.” Accompagnò ogni parola con un bacio. Sulle guance, sulla fronte, sul naso. “E voglio tutto di te, Ethan Arthur Sanders. Anche le parti nascoste, quelle buie che devo ancora scoprire e che tu non ti perdoni.”
Si fermò a pochi respiri dalla mia bocca, con gli occhi lucidi. Inspirai con forza.
“Sono totalmente, completamente e irreparabilmente innamorata di te.”
“Lo so.” Era il mio ti amo quando ero a corto di parole come in quel momento.
La sua fronte trovò il suo incastro perfetto nell’incavo del mio collo e mi lasciò un bacio a fior di labbra sulla gola ispida. “Ci pensi che è iniziato tutto con te che mi mettevi in guardia sulla percentuale di divorzi in America?”
“No, è iniziato con me che perdevo irrimediabilmente la testa per una ragazza che si appuntava i capelli con una matita mangiucchiata e che cercava in tutti i modi di passare inosservata. E mi sono ritrovato impreparato e meravigliato a fissare il sole ogni volta che la guardavo.”
L’ultima cosa che vidi fu il contorno del suo sorriso prima che mi baciasse.
Poi il mondo smise di esistere, incastrati nel nostro tempo, mentre fuori la gente brindava, festeggiava e la neve cadeva lenta sui marciapiedi di New York.
Forse il Natale, da ora in poi, non sarebbe stato poi così male.

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