Cosa succede se il principe azzurro e il cattivo della storia sono lo stesso uomo?
Ethan Sanders è l’impavido editore di New York, il miglior game changer degli ultimi tre anni. I periodici per trader lo applaudono come il magnate del momento, le riviste di gossip lo dipingono come lo scapolo più ambito della città. A un passo dall’ottenere le redini dell’impero di famiglia, rischia però di perdere tutto a causa di uno scandalo che lo porta suo malgrado sotto i riflettori e che potrebbe metterlo completamente fuori dai giochi.
Sette settimane. Questo il tempo necessario per ripulire la sua immagine e convincere il consiglio d’amministrazione che lui è l’uomo giusto. Basta donne, feste e abbonamenti ai giornali scandalistici. Sembrerebbe un piano infallibile se la sua nuova assistente personale non fosse una spina nel fianco, un peperino brillante e testardo che riuscirà a mandare in tilt l’impenitente playboy.
Holland Underwood non vorrebbe fare da babysitter all’arrogante, freddo e fastidiosamente attraente principino di Manhattan. Ma ha bisogno di quel lavoro. Tanto non corre il rischio di innamorarsi di lui: puzza di vizi, snob e cuori spezzati fin da lontano. Sono incompatibili, non si sopportano e poi ha deciso di tagliare fuori gli uomini dalla sua vita.
Peccato che la sfida che li accende ogni giorno in ufficio si trasformi ben presto in fuoco. Un fuoco che rischia di divampare e radere al suolo le barriere che hanno innalzato.
Ethan Sanders è l’impavido editore di New York, il miglior game changer degli ultimi tre anni. I periodici per trader lo applaudono come il magnate del momento, le riviste di gossip lo dipingono come lo scapolo più ambito della città. A un passo dall’ottenere le redini dell’impero di famiglia, rischia però di perdere tutto a causa di uno scandalo che lo porta suo malgrado sotto i riflettori e che potrebbe metterlo completamente fuori dai giochi.
Sette settimane. Questo il tempo necessario per ripulire la sua immagine e convincere il consiglio d’amministrazione che lui è l’uomo giusto. Basta donne, feste e abbonamenti ai giornali scandalistici. Sembrerebbe un piano infallibile se la sua nuova assistente personale non fosse una spina nel fianco, un peperino brillante e testardo che riuscirà a mandare in tilt l’impenitente playboy.
Holland Underwood non vorrebbe fare da babysitter all’arrogante, freddo e fastidiosamente attraente principino di Manhattan. Ma ha bisogno di quel lavoro. Tanto non corre il rischio di innamorarsi di lui: puzza di vizi, snob e cuori spezzati fin da lontano. Sono incompatibili, non si sopportano e poi ha deciso di tagliare fuori gli uomini dalla sua vita.
Peccato che la sfida che li accende ogni giorno in ufficio si trasformi ben presto in fuoco. Un fuoco che rischia di divampare e radere al suolo le barriere che hanno innalzato.
Ethan
Odiavo i colpi di scena.
Nel mio mondo non erano previsti, volevo sempre avere il pieno controllo di ogni situazione. Non a caso preferivo avere a che fare con i numeri che con il genere umano. I conti, la razionalità, le cifre avevano fatto la mia fortuna. Guardate dove mi avevano portato.
Negli ultimi sei anni, la Sanders Publishing mi aveva abituato a cifre da capogiro. Era diventata leader mondiale dell’editoria consumer, la seconda negli Stati Uniti, reggendo la crisi di mercato con una presenza significativa nelle librerie e con un fatturato annuale di oltre cinque miliardi di dollari.
La casa editrice pubblicava dai cinque ai sette titoli al mese e quasi tutti entravano nelle classifiche mondiali del New York Times, Usa Today, Wall Street Journal. Avevamo cinque scrittori candidati ai prossimi Oppenheimer, gli Oscar dell’editoria, e la società era stata nominata come miglior casa editrice dell’anno.
La mia azienda era come i New England Patriots. Eravamo imbattibili nella nostra personalissima National Football League editoriale.
Dio, amavo il mio lavoro! Avevo un fiuto infallibile per gli affari: sapevo quali titoli andassero acquisiti, quali invece andassero lasciati alla concorrenza e, soprattutto, ero un mago nel depistare e nel far credere agli avversari che avessero fra le mani i diritti del nuovo Harry Potter. Anche se si trattava di una povera, pia illusione.
La competizione a New York era feroce, c’era chi sgomitava pur di conquistare una mezza menzione sulla rubrica di Publisher Weekly. Bisognava saper tirare fuori la miglior faccia da culo e persuadere i clienti, facendogli credere che l’investimento migliore che potessero fare fosse mettere i loro romanzi e le loro carriere nelle nostre mani.
E la cosa più bella di tutto questo processo? L’adrenalina che sentivo scorrermi nelle vene quando siglavo un nuovo affare contratto e scommettevo su un innegabile e sicuro successo.
Sì, il mio cognome mi spalancava porte intere a Manhattan. Da generazioni i Sanders tenevano le redini dell’industria editoriale e dei mass media, ma mi ero fatto il mazzo e avevo sudato per costruirmi da zero questa azienda. Nulla mi era mai stato regalato. Niente mi veniva servito su un piatto d’argento, men che meno a New York.
Livido di rabbia, controllai per l’ennesima volta il mio Patek Philippe 1518, le gambe divaricate davanti al finestrone a parete intera che si affacciava sulla Sesta Strada. Oltre a mio padre e alla sua nuova pseudo compagna per la vita, c’erano solo altre poche cose che mi facevano incazzare: il fatto che il suo stesso sangue mi scorresse nelle vene, il ritardo e la constatazione che il mio “arrivi puntuale alle nove” non fosse stato recepito dalla mia assistente.
Ora ex.
La puntualità era un concetto che negli ultimi mesi non era stato chiaro ben a tre, forse quattro, segretarie personali che avevo accompagnato alla porta.
Attraversai l’intera stanza e mi diressi all’appendiabiti posizionato nell’angolo opposto alla mia scrivania. Mi tolsi la giacca del completo e uscii dall’ufficio, arrotolando con frenesia le maniche della camicia. La mia segretaria era già alla sua postazione. “Buongiorno, capo.”
Joanna Keller sembrava uscita da un film in bianco e nero, con la classica collana di perle al collo, capelli striati d’argento raccolti in una crocchia, cardigan da Country Club e occhiali dorati sul naso. “Joanna” abbaiai dalla soglia che divideva i due spazi. “Chiami la mia assistente, che ora è diventata ex, e le dica che le sue chiappe dovevano essere nel mio ufficio già venti minuti fa. Si assicuri che abbia con sé le copie dei giornali di oggi, il mio solito caffè e i titoli che le ho assegnato. Poi, gentilmente, le porti uno scatolone da riempire con la sua roba e le comunichi, con l’umanità che la contraddistingue e che io non posseggo, di non mettere più piede alla Sanders Publishing.”
“Non mi regala un sorriso nemmeno oggi?” Le sue labbra si piegarono in una sorta di ghigno beffardo.
La ignorai e continuai a dare ordini. “Prepari la sala conferenze, anticipiamo alle dieci la riunione che avevo indetto per il pomeriggio. Voglio tutti i dati sulle vendite dell’ultimo mese sul tavolo, avvisi la squadra. Ah…” tornai indietro. “Prepari dei blocchi e una penna per ogni posto a sedere e…”
“Il proiettore per i PowerPoint” mi interruppe.
La soppesai con lo sguardo. Si stava trattenendo dall’alzare gli occhi al cielo, ne ero sicuro. “Alle dieci. Non un minuto di ritardo.”
“Ma certo, capo. Prego, capo” disse con il tono di un educato fottiti.
Inspirai lentamente per mantenere il controllo e le diedi le spalle per tornare nel mio ufficio.
“Lo so che sta alzando gli occhi al soffitto, Ethan Arthur Louis Sanders.”
Come unica risposta, ricevette il tonfo della porta sbattuta. Dovevo lavorarci ancora, sul controllo.
La Keller era l’unico individuo a esser escluso dal mio raggio d’azione. Era in età pensionabile, ma nel suo lavoro era dannatamente brava; gestiva con silenzioso zelo una miriade di incarichi e a volte, come quel giorno, si sobbarcava pure quelli delle mie assistenti, e i suoi pareri sui titoli in uscita erano molto spesso preziosi. Era una delle poche persone che godevano della mia fiducia e a cui concedevo, seppur raramente, un sorriso all’interno di questo grattacielo.
La mia-ora-ex-assistente, invece, era una rogna che stava mandando a puttane la mia agenda. E la mia agenda era come il Sacro Graal: inviolabile. Ancora vi chiedete perché preferisco gestire i numeri?
Mi misi a sedere, riattivai lo schermo del computer con il mouse e feci ruotare la poltrona di pelle, perdendomi a guardare New York che brulicava di vita già di prima mattina sotto i miei piedi.
La Grande Mela sapeva essere una giungla di cemento. Avevo imparato a tenerla per le palle, non avendo peli sullo stomaco e agendo da cattivo.
Non bisognava mostrare insicurezze, dubbi. Nessuna esitazione.
Alcuni cercavano di sopravvivere in questa città, io invece la guardavo comodamente seduto sul trono dal mio sessantatreesimo piano della Sanders Tower.
Non ero un brav’uomo e non avevo mai finto di esserlo. Non c’era posto per i bravi uomini nel mondo degli affari. Il buonismo e il sentimentalismo non erano ammessi. Non nel mio ambiente.
Mi definivano un ricco bastardo senza cuore; sul lavoro ero intransigente, egoista e fastidiosamente fissato con le regole.
Non volevo ammorbidirmi, non ci pensavo nemmeno. Volevo incutere timore e rispetto ai miei impiegati per evitare che mi distruggessero l’azienda. Ero a un passo dall’ottenere finalmente le redini della Sanders Corporation da mio nonno e non mi poteva fregare di meno di quello che pensava la gente, tantomeno dell’opinione di quella cinquantina di persone che erano nel mio libro paga. Li pagavo abbastanza profumatamente da spingerli a sorridermi, eseguire i miei ordini senza opposizioni e leccarmi il culo in orario d’ufficio; una volta timbrato il cartellino potevano ritornare a odiarmi.
“È da stamattina che ti chiamo.” Aaron Cage entrò trafelato senza bussare con un tablet in una mano e lo smartphone nell’altra. Era il mio migliore amico, il mio braccio destro nonché consulente legale. La SP aveva il suo studio di avvocati a cui appoggiarsi, ma non c’era nessuno di cui mi fidassi più di lui, il Cacciatore di Manhattan come veniva soprannominato nell’ambiente legale e in tribunale.
Aaron si occupava dei cavilli giuridici, mi tirava fuori dalle grane, mentre io facevo salire i titoli dell’azienda in borsa.
Io ero quello spietato sul lavoro e un grande stronzo nella vita.
Una faccia da schiaffi.
La pecora nera dell’intero impero dei Sanders.
Ed era qui che entrava in gioco il mio migliore amico: quando le cose si complicavano, era Aaron che districava la situazione con la sua dialettica, era tenace ed era l’unico a sapere come rimettermi al mio posto. O quasi. Distolsi lo sguardo da una brulicante Manhattan, intuendo una sfumatura di panico nella sua voce.
Quel giorno, la sua immagine da uomo tutto d’un pezzo vacillava, rughe di tensione gli solcavano gli occhi e lo vedevo muoversi con agitazione nella stanza. La sua invidiabile compostezza traballava. Fece scivolare il telefonino nella tasca dei pantaloni, si diresse verso gli armadietti degli alcolici, si versò due dita di Macallan 25 e lo bevve in un sorso.
Erano appena le nove di mattina.
Socchiusi gli occhi, confuso. “Festeggiamo qualcosa?”
Aaron appoggiò il bicchiere sulla solida scrivania di mogano e si accomodò su una delle poltrone di pelle di fronte a me. L’abito grigio scuro di alta sartoria non nascondeva il fisico tonico acquisito grazie alle ore passate in palestra e i lunghi capelli castano chiaro erano raccolti in un half bun. Era questo suo aspetto selvaggio, con la barba di qualche giorno, gli anelli alle dita e i tatuaggi sparsi qua e là ad attirare le donne come api sul miele. Potente in smoking, ma dall’aspetto tenebroso e pericoloso. Un mix micidiale. E le donne amavano i ragazzacci.
“Mi è arrivata una soffiata.”
“Sull’affare MacMillan?”
“Uscirà un articolo per Page Six.”
“Brindiamo alla quinta copertina?”
“Sarebbe la sesta, ma non c’è nulla da ridere, Ethan. Non è proprio un articolo da incorniciare e da mettere in bella mostra sopra il caminetto del salotto” sospirò, pensieroso, grattandosi il mento.
Corrugai la fronte. “Quanto è grave?”
“In una scala da uno a sono cazzi amari, direi che possiamo lanciare l’allarme Defcon 1. A detta della mia fonte, la tua ex assistente ha rilasciato un’intervista sui suoi lavori extra qui in ufficio.”
Abbozzai un sorrisino arrogante. “Quale assistente delle tante?”
“Eth…” Sembrava che stesse digrignando i denti mentre pronunciava il mio diminutivo. “Dobbiamo decidere come reagire a questa storia.”
“Non c’è nessuna storia. Mi conosci, Aaron, sai dannatamente bene che le donne che lavorano per me sono asessuate. Non mischio mai il lavoro con il piacere.” Mi lasciai andare indietro sulla Presidential, le mani intrecciate sul petto. “È solo gossip, si sgonfierà non appena troveranno un altro pollo più succulento da spennare.”
La tensione si impadronì di ogni muscolo del suo viso. “Sembra che questa Mollie Garcia stia ventilando l’illazione di molestie sessuali. Non possiamo permettere che ci lanci merda addosso. Non in questo momento della tua carriera. Mancano poco meno di due mesi agli Oppenheimer e, pur dimostrando che sono solo illazioni, queste accuse potrebbero compromettere la tua reputazione e metterti fuori strada per la corsa di amministratore delegato della Sanders Corporation.”
Mi alzai furibondo, la poltrona scivolò via con violenza verso la finestra a parete. Appoggiai le mani sul tavolo di mogano, il busto piegato in avanti. “Non l’ho sfiorata con un dito” sibilai con un tono tagliente che non ammetteva repliche.
Sì, non era un mistero che non conducessi una vita monacale. Party, eventi socialite, weekend di lusso. Il mio bel viso e il mio cognome mi garantivano una scuderia di donne che mi imploravano di essere scopate. Forse il segreto del mio successo era racchiuso proprio nella mia fama da playboy: nessun coinvolgimento, nessuna distrazione e nessun intralcio come fidanzate, matrimonio e figli. Preferivo trascorrere le mie vacanze negli Hamptons o in qualche isola caraibica al largo sulla mia barca piuttosto che prenotare un pacchetto family a Disneyland.
Ero completamente devoto alla mia casa editrice, trascorrevo quasi dodici ore al giorno in quel dannato stabile, cazzo! Il mio ufficio era il mio fortino, il mio Fort Knox anti donne.
“Sono anni che aspetti questo giorno, ma la tua corsa a CEO la vedo in salita. Devi parlarne col vecchio Sanders prima che esca l’articolo e che ti metta fuori dai giochi.”
“Parlerò con mio nonno. Ho dato la vita per questa azienda e l’ho costruita con le mie sole mani perché so essere convincente. So come affascinare le persone. Dammi dieci minuti con lui e lo persuaderò.”
“Non basta sganciare un sorriso da pubbliche relazioni e credere di chiudere la questione. Non pensi a tutti i dipendenti che si fanno il mazzo per la SP? Al danno d’immagine che ne conseguirà? Se non conterremo i danni, questa storia dilagherà a macchia d’olio e tutto il lavoro e tutti i sacrifici fatti finora verranno sputtanati. Senza contare gli investitori. Siamo entrati da poco in borsa, abbiamo delle responsabilità. Se dovessero cominciare a infastidirsi, potrebbero decidere di abbandonare la nave e resteremo solo tu e io come Jack e Rose sulla zattera dopo il naufragio del Titanic.” Aaron appoggiò l’iPad sulla scrivania e si protese in avanti, gli avambracci appoggiati sulle cosce. “E sai bene com’è finita.”
“Non manderò tutto a puttane, stai tranquillo, Rose. Scopri chi ha pagato Alli per rilasciare questa cazzo d’intervista.”
Mi fissò senza speranza. “Si chiama Mollie.”
“Non mi interessa. Se fosse vero, la distruggerò, lei e la persona per cui lavora.”
Ci fu un attimo di silenzio. “Credi che sia stato lui?”
Non lo nominò, non serviva. Sapevamo entrambi che stava parlando di Harrison Isaac Sanders. Mio padre.
Mi alzai dalla sedia e mi avvicinai alla finestra a parete, le mani affondate nelle tasche del completo Brioni. L’azienda del mio donatore di sperma era solo a qualche isolato dal mio ufficio. Non era così improbabile che in quello stesso momento stesse fissando il mio edificio, mentre con la sua nuova compagna studiava nuove strategie per prendere possesso dell’azienda di famiglia.
A dispetto della maggior parte dei bambini, era stato mio nonno a insegnarmi ad andare in bicicletta e a sillabare con orgoglio e con il petto in fuori il cognome Sanders, mentre mio padre era troppo occupato a scoparsi mezza Manhattan, trafficare denaro illegale e lapidare i soldi di famiglia nel gioco.
Mio nonno che, guarda caso, deteneva anche il pacchetto di maggioranza della Sanders Corporation, leader da sempre nel settore editoriale nazionale e internazionale. Anche quell’anno si era riconfermata al primo posto della lista stilata da Publisher Weekly e da pochi mesi il vecchio aveva anche chiuso l’affare con i Kellman, aggiudicandosi il 47% della MyNetTv Corp, uno dei più grandi conglomerati di media e intrattenimento al mondo. Diventare CEO della Sanders Corporation e fonderla con la mia casa editrice avrebbe significato possedere il controllo del mercato editoriale, della distribuzione e dei mass media.
Un progetto da milioni di dollari senza eguali.
Avrei protetto a ogni costo l’azienda a cui Joseph Sanders aveva dedicato la vita, la società per cui mia madre aveva messo il cuore, sudore e dedizione prima che mio padre la sbattesse fuori di casa e dall’impresa, e la cancellasse dalla sua vita come uno stupido documento appallottolato nel cestino del computer. Il passaggio di testimone era essenziale, meritavo quella promozione.
“Non mi stupirei” parlai, tornando alla realtà. “Ha sempre agito senza farsi troppi scrupoli, men che meno per suo figlio. Io ho in piedi la mia partita, lui la sua.”
Aaron mi raggiunse alla finestra. “Non voglio essere ripetitivo…”
“Sei come una martellata sulle gengive.”
“È solo una soffiata, al momento, ma la mia fonte non mi ha mai tradito.”
Mi voltai verso di lui. “Chi sarebbe questa talpa? Ci possiamo fidare?”
Aaron scosse la testa. “Ho promesso di lasciarla fuori da ogni casino.”
Socchiusi gli occhi. “Si tratta di una donna, vero? L’integerrimo avvocato Aaron Cage messo in ginocchio da una passera.”
Ricevetti in risposta un pugno sul braccio, con forza. “Invece di fare il coglione, dovremmo prepararci al peggio. Le mie più rosee previsioni vedono un’orda di giornalisti in pianta stabile fuori dall’ufficio e da casa tua. Ti faranno a pezzi. Ora vado a fare qualche telefonata e a sondare il terreno, tu magari cerca di stilare al più presto un comunicato stampa o studiare una dichiarazione pubblica da rilasciare in tivù con la tua assistente.”
“Se solo ce l’avessi.” Mi sedetti e gli feci segno di accomodarsi a sua volta. “Chiama gli investitori, aggiornami fra venti minuti e trovami nel frattempo una nuova collaboratrice che non trasformi una semplice riunione in uno psicodramma.”
“Hai fatto fuggire un’altra assistente?”
“Sarebbe più corretto dire che un’altra assistente non ha retto i miei ritmi.” Storsi appena la bocca. “Prepara anche un contratto di riservatezza da farle firmare. Non mi interessa che sia uscita dalla Ivy League, desidero lavorare solo con una persona competente e con un quoziente intellettivo sopra il centodieci. Qualcuna che sappia capire i media, gestire il gossip e che sia in grado di affrontare le continue illusioni della stampa. Una persona che regga i miei orari. Voglio portare a casa anche il contratto con Autumn Reese e fare l’annuncio a sorpresa durante gli Oppenheimer.”
“È da un anno che cerchi di soffiare la Reese alla Penguin con un contratto stellare senza risultati.”
“Per questo mi devi trovare l’assistente perfetta. Fai una delle tue magie.”
Aaron sorrise per la prima volta quel mattino. “Mi stai chiedendo l’impossibile. Una donna che ti sopporti per più di tre giorni?”
“Ti faranno sicuramente santo. Santo Aaron da New York. E io commissionerò un putto a tua immagine da mettere giù nell’atrio. Ora, se è tutto per oggi, puoi andartene. Devo recuperare tutto il lavoro che mi avete fatto perdere questa mattina.”
“Non mi ringraziare troppo per essere sempre in prima fila a pararti il culo.”
“Ti pago come legale esterno per questo. Ci sono sempre le class action.”
Scosse la testa divertito e si avviò verso la porta. Stava per uscire quando si fermò, la mano sulla maniglia. “Non sottovalutare tuo padre, Ethan. Davvero, ti sto parlando come amico. Non è il momento di abbassare la guardia. Queste dichiarazioni, una volta online, possono essere una minaccia insidiosa per la tua candidatura. Evita per le prossime settimane di finire sui giornali, non attirare l’attenzione su di te e cerca di non portarti a letto tutta New York, per l’amor di Dio!”
Alzai gli occhi al cielo. “Scusa, Dottor Phil, ma qui starei cercando di far andare avanti l’azienda.”
“Siamo entrati in guerra e non abbiamo ancora le munizioni pronte.” Senza dire un’altra parola, lasciò la stanza.
Premetti il tasto dell’interfono, anche se non avevo oscurato i vetri e il mio ufficio era un dannato acquario di lusso dal quale la Keller non aveva staccato gli occhi.
“Ho cambiato idea, Joanna. Mandi la mia ex assistente direttamente alla Hoffman & Weinberg Associates e le dica di chiedere di Aaron Cage. Sarà lieto di spiegarle un’altra volta tutti i punti del contratto che ha infranto” parlai senza mai alzare la testa dal computer. “Ah, e cambi anche tutte le password…”
“…delle sue carte di credito. Già fatto. Prego, signor Sanders.”
Chiusi la comunicazione, ma poco dopo il telefono interno ronzò di nuovo e subito la voce della mia segretaria riempì la stanza.
“Lo sa che la posso sentire anche senza interfono, capo?” Il tono tradiva un sorriso.
“Lo sa che potrei licenziarla?”
“Per estrema gentilezza e pazienza?”
“Per insubordinazione.” Affilai lo sguardo e lo puntai al di là del vetro. “Non si affretti a lasciarmi il suo indirizzo di casa, so dove spedirle l’assegno per il mancato preavviso.”
Interruppi la comunicazione, schermai con un telecomando le pareti di vetro dell’ufficio e mi appuntai mentalmente di non assumere mai più dipendenti donne.
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