NOTA DELL’AUTORE:
“Love Ever After” è una novella cross-prequel da leggere dopo la serie The Hurricane composta da So che ci sei, Il mio lieto fine sei tu e L’infinito è dopo noi.
Questa novella non è un romanzo autoconclusivo.
Un tour mondiale. Un’ultima data sold out. Tre vite che si intrecciano. Quattro minuti, il tempo di una canzone, che stanno per cambiare per sempre la vita di uno di loro. Chesney McKenna dopo il diploma si ritrova a Nashville con pochi dollari in tasca, tanti sogni e una chitarra presa a noleggio. La vita sulla Music Row non è facile: delusioni, porte sbattute in faccia, demo inascoltate. Poi la sua carriera sembra spiccare il volo tanto che si guadagna in poco tempo in città il titolo di principe del country. Ora si ritrova a New York, in una notte speciale che gli potrà cambiare per sempre la vita. Solo non sa che sulla sua strada sta per succedergli qualcosa che potrà mandare all’aria tutti i suoi sogni.
Gioia
Quel venerdì sera il vento pungeva sul viso come una miriade di spilli, l’aria era fredda e foriera di neve; le prime gocce di pioggia avevano inzuppato la lana del cappotto di tante piccole lacrime d’acqua. Alzai il bavero del soprabito e mi affrettai sulla Broadway, ignorando i miei piedi che chiedevano pietà dopo una giornata intera passata sui tacchi alti tra meeting e presentazioni PowerPoint alla Redding & Lowes Associates.
Intorno a me i negozi erano ancora colmi di clienti e turisti che inauguravano il fine settimana ormai alle porte con lo shopping, i locali erano accalcati di impiegati e broker di Wall Street che cercavano riparo davanti a un buon bicchiere di vino. Il flusso di traffico si stava intensificando man mano che ci si avvicinava al centro, l’asfalto ora una macchia di colori molto simile a un acquerello impressionista. I SUV dai vetri oscurati procedevano a passo d’uomo e i taxi – che sembravano tanti piccoli Pac-Man fuori controllo – strombazzavano insistenti non appena i semafori scattavano sul verde. I food truck occupavano entrambi i lati delle strade e invadevano con i loro profumi e gli odori accattivanti delle spezie le vie di Manhattan.
Era la New York che amavo.
Caotica.
Esasperata.
Energica.
Una giungla di cemento, luci e contraddizioni.
Casa.
Eppure, nonostante mi fossi trasferita lì in pianta stabile ormai da quattro anni, riusciva ancora a stupirmi, emozionarmi e impaurirmi come se fossi una semplice turista al suo primo viaggio nella Grande Mela. Ferma sul marciapiede, alzai lo sguardo sul profilo imponente del palazzo di vetro che ospitava gli uffici della Sound&K.
Un piccolo sorriso mi sfuggì quando nella mia mente tanti brevi flash presero vita come un film. Ripensai a tutto quello che mi era successo dopo una semplice serata al karaoke (da ubriaca per dimenticare il mio ragazzo fedifrago), agli ostacoli che avevo superato con mio marito (la Rottweiler, per citarne uno), alla vita che stavo costruendo come moglie, madre e donna in carriera con la mia anima gemella. Da allora vivevo con lo stomaco attorcigliato dalla felicità, il cuore colmo e pronto a esplodere di un amore talmente forte che faceva quasi male.
Era un viaggio su un ottovolante sospeso tra terra e cielo. O Kellyland, come amavo chiamarlo io.
Non riuscivo più a ricordare la mia vita di prima.
Prima di Christian Kelly.
Entrai nel sessantatreesimo piano, ormai vuoto a eccezione degli inservienti delle pulizie che iniziavano il turno serale, e mi avviai sicura verso l’ufficio di mio marito. Aprii la porta senza bussare e provai per l’ennesima volta quella sensazione di tremolio alle gambe come se fossi appena scesa dalle montagne russe.
Christian era in piedi di fronte alla cabina armadio e mi dava le spalle.
Il mondo era abituato a conoscerlo come il magnate dell’industria musicale. Affascinante e carismatico, ambizioso e assetato di lavoro, capace di incutere timore con un solo sguardo. Io avevo il privilegio di conoscere l’uomo, il marito e il padre che si nascondevano sotto i completi di alta sartoria. Per dirla alla Julia Roberts, avevo un gran culo, perché Mister Copertina nascondeva sotto i completi Armani anche un fisico mozzafiato degno di nota.
A volte dovevo toccare la fede che portavo all’anulare per rendermi conto che non era un sogno.
Mi appoggiai con una spalla allo stipite della porta, mi morsi il labbro inferiore con il sangue che prendeva a ribollire per l’eccitazione. Christian indossava solo un paio di jeans che gli cadevano divinamente sulle gambe, così da offrirmi un’ottima visuale del suo corpo. La schiena nuda era un incastro perfetto di muscoli guizzanti e poderosi, non aveva un grammo di grasso superfluo nonostante le teglie di muffin che cucinavo – e che il più delle volte bruciavo - nei weekend. Aveva braccia tornite che erano diventate il mio porto sicuro e una V definita con tanto di fossette che Marco, il mio migliore amico gay, chiamava i fori del divino Kelly. “Continua a guardarmi così e vedrai come salteranno i piani della serata.”
Sussultai, sorpresa dalla sua voce roca. Distolsi lo sguardo dalle lastre di muscoli e mi scontrai con due occhi color cioccolato fuso fissi sul mio corpo. Christian percorse con estrema lentezza le curve della mia figura fino a soffermarsi sulle mie labbra come se le volesse divorare, un sorrisino diabolico che gli incurvava la bocca.
Ogni centimetro della mia pelle sentiva il bisogno impellente del suo tocco. Adoravo la sua fame insaziabile, era come se non ne avessimo mai abbastanza l’uno dell’altra.
Dio, mi sentivo ancora come quella ragazza al Touch Music di Barcellona davanti al suo primo Sorriso Illegale.
Feci una smorfia, mentre mi scrollavo di dosso le gocce di pioggia. “Non provare a corrompermi con il sesso in ufficio, Kelly.” Se quella stanza potesse parlare! Raggiunsi la scrivania, mi ci sedetti sopra e mi liberai finalmente di quelle trappole di scarpe. Avevo i piedi gonfi e doloranti. “Abbiamo dato la nostra parola che ci saremmo stati, questa sera.”
Socchiuse gli occhi e mi rivolse quel suo ghigno patrimonio dell’umanità. “Sarò il tuo taikomochi per tutta la serata.”
“La proposta di essere il mio schiavo sessuale è abbastanza allettante, ma uno dei due” indicai la distanza fra i nostri corpi, “deve fare l’adulto.”
“Abbastanza? Strega!” Appese la camicia nella cabina e prese a studiare i vari capi, indeciso su cosa indossare. “Non posso credere che preferisci passare la serata di San Valentino con Perri che con il mio corpo completamente alla tua mercé.”
“Con i Sounds” specificai, divertita dalla sua insana e stupida gelosia per Matteo, il mio ex fidanzato storico.
“È la nostra prima serata libera dopo secoli.” Si stava infilando un maglioncino nero leggero, ma sentivo benissimo i suoi borbottii attraverso la stoffa.
“Due anni, per essere precisi. Sei sicuro che tua sorella non avrà problemi a tenere Chloé?” chiesi, titubante. “È la prima volta che non dorme a casa con noi.”
“Candice è bravissima con i bambini, poi Anjey non vedeva l’ora di stare con la cuginetta. Consoliderà il loro rapporto. Anch’io pensavo di rinsaldare il nostro” ammiccò. “Invece sono costretto a dividerti con quel cantastorie di Shakespeare. Questa serata finisce direttamente all’ultimo posto nella classifica dei nostri San Valentino.”
In effetti un Kelly in ginocchio sul Top of the Rock con una sfera di neve fra le mani o inginocchiato nel suo appartamento riempito di rose rosse era difficile da superare, anche se la festa degli innamorati dell'anno prima era stata la mia preferita: Chloé addormentata fra noi due sul lettone, una vecchia puntata di Friends in tivù e cibo spazzatura da asporto.
Mi morsi il labbro per non scoppiare a ridere. Sembrava che fosse sul punto di volersi strappare via la pelle del viso dall’esasperazione. “Melodrammatico.”
Con delle ampie falcate, annullò ogni distanza e mi fu davanti, mi aprì con dolcezza le gambe e si piazzò in mezzo. Infilò le mani sotto il cappotto e mi circondò la vita. “Voglio rinegoziare i termini della serata per arrivare a una soluzione non violenta e che non preveda dei cazzotti al frontman dei record della Sound&K.” Le dita mi accarezzavano la schiena col ritmo di una ninnananna, poi Christian mi afferrò per il sedere così da far aderire il mio corpo al suo.
Gli portai le braccia al collo, stuzzicandogli la folta chioma scura. “Quali sono le tue condizioni?”
I suoi occhi si soffermarono su ogni linea del mio viso fino a fissarsi sulla mia bocca. Avrei potuto riconoscere il luccichio che gli adombrava lo sguardo a chilometri di distanza.
Alzai gli occhi al cielo. “Perché ho l’impressione che tu stia per inserire la parola sesso nella tua arringa?”
Chinò la testa e mi passò le labbra sulla curva del collo. Percepivo il contorno di un sorriso sulla pelle. “Perché allora sarebbe davvero un San Valentino indimenticabile. Nemmeno nei miei peggiori incubi avrei immaginato di trascorrere l’anniversario della mia proposta di matrimonio con il tuo ex che ci dedica una serenata d’amore. Avrei preferito una cena di tua madre con test attitudinale compreso o un calcio nelle palle da Beatrice.” “Addirittura!” fischiai.
Socchiuse gli occhi. “Non è il tuo modo carino per dirmi che vuoi tornare a fare la groupie?”
Buttai la testa all’indietro e scoppiai a ridere. “È l’ultima data del Memories Stadium Tour, il Madison Square Garden è esaurito da mesi e sei il loro produttore discografico.” Infilai le dita fra i suoi capelli e gli sfiorai col naso la mascella volitiva. “E poi, se avessi ancora qualche dubbio…” aggiunsi, abbassando lo sguardo sul punto dove la pancia non nascondeva più le rotondità della seconda gravidanza, “sono indubbiamente nella fase in cui subisco il fascino degli uomini maturi e in giacca e cravatta.”
Kelly si sporse per mordermi un orecchio. “Maturi, eh?”
“Maturi e inspiegabilmente gelosi.”
L’ultima cosa che vidi fu il suo splendido viso radioso, prima di ritrovarmi stretta ancora di più al suo petto, le gambe allacciate intorno alla sua vita e il mio Mister Copertina che mi chiudeva la bocca con un bacio da togliere il fiato e annullare ogni ragione. Schiusi le labbra per accogliere le stoccate lente della sua lingua, il cuore che mi scoppiava di felicità.
Era tutto così perfetto.
Così giusto.
“Ciao anche a te” sibilai senza fiato quando mi lasciò andare. Kelly non aveva perso smalto con i suoi Baci da Dio, anche se non c’era nulla di più sexy di vederlo con nostra figlia in braccio. Ero convinta che la pensassero così anche tutte le mamme del parco vicino casa. Avevo notato un aumento non indifferente al parco giochi negli ultimi mesi.
“Ciao, uragano.” Appoggiò la fronte alla mia, le sue mani ora mi accarezzavano con riverenza il rigonfiamento. I nostri occhi si allacciarono, i suoi brillavano come se avesse rubato tutte le stelle del firmamento. “Sei così bella, incinta dei miei figli.”
“Non so se la penserai così quando sarò talmente grassa che non riuscirai più ad abbracciarmi o dovrai allacciarmi le scarpe.”
La voce mi era uscita insicura, tutta colpa degli stupidi ormoni e delle nausee che non mi mollavano giorno e notte. Avevo vissuto una gravidanza splendida con Chloé, invece ora mi sembrava di portare in grembo un incrocio tra un Gremlin e la bambina posseduta dell’Esorcista. Mi sentivo uno straccio, sfinita, ingombrante. Per nulla…
“Sei sexy da morire, signora Kelly.”
“Sii più convincente” scherzai.
“Davvero!” Mi posò un bacio delicato all’angolo della bocca. “Mi rende così orgoglioso vederti andare in giro per tutta Manhattan così…”
“Grossa?”
“Incinta di nostro figlio” continuò, orgoglioso. “È come se girassi con un cartello con su scritto proprietà privata a caratteri cubitali, dice a tutti che sei mia. Commissionerei alla signora Kelly della Redding & Lowes Associates pure un cartellone pubblicitario a Times Square.”
Scoppiai a ridere. Mancava solo che si battesse i pugni sul petto. “Sei il solito cavernicolo.”
Kelly mi prese il labbro inferiore fra i denti. “Lo so.”
“Sono una brutta madre se sono contenta di avere una serata solo per noi due senza repliche di Masha e Orso o la millesima versione della favola del dio dei baci e della principessa uragano?” “Dio, no!” appoggiò la fronte alla mia. “Mi strapperei le palle per Chloé, ma meritiamo una serata solo adulti senza cibo nei capelli e con del sesso vero.” Abbassò la voce, i nostri volti a un soffio. “Mi offro volontario per toglierti questa idea della cattiva mamma dalla testa.”
“Sentiti libero di usare tutte le tue tecniche di persuasione, Kelly.”
“Per questo ti ho sposato. Dio, sei una donna intelligente, uragano.” Ridacchiai sulle sue labbra. “Solo che non credevo, quando abbiamo giurato di amarci anche nella cattiva sorte, che mi avresti costretto a vedere Perri nella nostra unica serata libera da due anni a questa parte.”
Gli strattonai i capelli e lo guardai dritto negli occhi. I nostri sentimenti erano tutti lì da leggere. Lo amavo così tanto, amavo la nostra famiglia con un’intensità che cresceva giorno dopo giorno.
“Ti amo” disse, rubandomi le parole di bocca. “Sei l’amore della mia vita, Gioia Alessia Caputi. Anche con le maniglie dell’amore e con la tua pancia posseduta da un alieno. Ti amerò anche quando non riuscirai più a vedere i tuoi piedi e mi chiederai di allacciarti le scarpe o quando mi butterai fuori di casa alle due di notte per andare a prenderti uno di quei panini schifosi e unti dal camioncino sotto casa.”
Mi strinsi a lui, il volto affondato nell’incavo del suo collo a respirare il profumo che da alcuni anni ormai rispondeva al nome di casa. “Ci sai fare, Kelly.”
“So anche questo. Sono il re delle negoziazioni, me l’hai scritto anche sul grembiule per il barbecue.” Mi fissò con gli occhi accesi di una luce maliziosa.
“Te ne do atto” ammisi, ripensando alle nostre trattazioni che finivano sempre con l’appagamento da entrambe le parti.
Il mio sorriso venne cancellato da un bacio rovente, le sue labbra tenere e impetuose allo stesso tempo.
“Kelly?” mormorai tra le nostre lingue.
“Mmm.”
“Lo so che apprezzi la parte interattiva del nostro matrimonio, ma arriveremo in ritardo al concerto. Dovrai contenere il tuo appetito sessuale per più tardi.”
“Con te, uragano, contenere non è fra i termini trattabili delle clausole.”
Suggellò quelle parole con un altro bacio impetuoso e perdemmo come sempre la cognizione del tempo.
***
Arrivammo al Madison Square Garden in ritardo perché, quando uscimmo dagli uffici della Sound&K un bel po’ di baci dopo, una tempesta di neve si stava abbattendo sull’isola. Il nevischio aveva reso viscido l’asfalto, mandando in tilt il traffico.
L’arena dei New York Knicks quella sera era un delirio. I Sounds negli ultimi anni avevano monopolizzato lo scenario musicale statunitense, infrangendo diversi primati di vendita e diventando di fatto la prima boy band italiana ad aver raggiunto la vetta della Billboard 200 con gli album Tears e Memories.
Osservai senza parole il mare di corpi che ricopriva il campo da basket, ondate di fan stavano richiamando a gran voce Matteo, Andrea, Jak e Lorenzo. Delle ragazzine erano già in lacrime.
Si respirava un’energia pazzesca. Potevo sentire il pavimento vibrare sotto i miei piedi, mentre i fonici sistemavano gli amplificatori e i macchinisti controllavano le luci prima dello show.
Era incredibile il successo immediato che avevano avuto i Sounds in tutto il mondo. Le loro canzoni, le loro melodie pop rock avevano raggiunto i cuori di milioni di persone con gran facilità e poi erano tutti così tremendamente sexy da riempire senza problemi le copertine dei tabloid.
Non era difficile immaginare i loro volti tappezzare le camerette delle ragazzine della Generazione Z.
Mi lasciai sfuggire un sorriso tra l’orgoglioso e il malinconico.
Per me rimanevano i ragazzi scapestrati che componevano brani nei ritagli di tempo e che li provavano fino a notte fonda in garage. Una volta mi sarei anche mischiata alla folla accalcata sotto il palco con tanto di fascetta in testa e le braccia agitate in alto, ora mi coprii con fare protettivo la pancia.
“Vieni da questa parte.” Kelly mi prese la mano e mi guidò al di là delle transenne di metallo verso il backstage grazie ai pass vip che portavamo al collo.
Per fortuna mi ero cambiata negli uffici della Sound&K, avevo indossato un paio di Dr Martens nere per l’occasione e mi fu facile stare dietro al suo passo sicuro. Anche in quel momento, vestito con un semplice maglione e dei jeans, mio marito spiccava tra tutta la fiumana di gente. Era tenebroso, sexy e severo allo stesso tempo.
Stavamo per raggiungere il dietro le quinte, quando le luci si spensero repentinamente. L’arena calò nel buio e nel silenzio, si sentiva solo qualche fischio della folla ora in trepidante attesa.
Tutti stavano trattenendo il respiro.
Poi un cono di luce illuminò all’improvviso il palco e al centro apparve nientemeno che la figura di Chesney McKenna.
Sia io che i ventimila spettatori del The Garden restammo senza parole davanti al principe di Nashville che a sorpresa stava per aprire lo show dei Sounds.
Eravamo increduli, chi in attesa di sentire gli accordi inconfondibili della sua chitarra e quel suo timbro particolare, profondo e roco che lo rendeva unico, chi per la confusione.
McKenna non era infatti ancora una celebrità nel panorama musicale americano, molti quella sera non sapevano nemmeno chi fosse il ragazzo sul palcoscenico.
In Tennessee, invece, era una star in ascesa. Da troppo tempo Christian mi faceva una testa quadrata sulla stella nascente del neotraditional country che spesso sconfinava nel blues, lo voleva a tutti i costi sotto la sua etichetta perché, parole sue, ‘avrebbe portato il country in un viaggio memorabile per tutto il Paese’.
Alla fine ero diventata io una sua grande fan. Ascoltavo in continuazione le canzoni dell’album Love Ever After, le usavo pure come ninnananna per nostra figlia. Ero una Chesneezers sfegatata!
“Buonasera, New York City. Solo per questa serata speciale, lasciatemi portare sul palco del Madison Square Garden un po’ del suono di Nashville e del blues.”
Colpii mio marito con un pugno sul braccio, estasiata. “Tu lo sapevi?”
“Per questo San Valentino avevo preso lezioni di striptease, ma le terrò per la prossima ricorrenza.” Il mio Mister Copertina mi spostò davanti a lui e mi avvolse nel suo abbraccio come scudo, le sue mani che mi circondavano la vita. “Buon anniversario” mi mormorò all’orecchio, posandomi un bacio dolce sulla tempia nello stesso istante in cui gli accordi iniziali della ballad d’amore più famosa di McKenna, Lullabye, riempirono l’arena nel cuore della Grande Mela.
I ventimila del The Garden erano ammutoliti e rapiti, Chesney stava incantando tutti con quello spettacolo intimo, sul palco aveva portato solo la chitarra acustica e la sua voce calda, morbida come il miele. Le parole dolci e strazianti della ballata e il suo timbro facevano a pugni con l’immagine da rockstar consumata che aveva sul palco. Con il giubbino di pelle, i jeans stinti e il ciuffo biondo disordinato sul viso sembrava più un angelo tormentato che il principe del country.
Avevo visto diversi suoi video su YouTube e lui aveva questa capacità di guardarti in viso e di spogliarti, di fare l’amore con te solo sussurrando le parole dei suoi testi. Anche ora, dal vivo, notavo che il suo sguardo si fissava su ogni persona del pubblico come se gli stesse dedicando le parole struggenti delle sue canzoni, come se ciascuno fosse la musa dei suoi tormenti.
Il mio tono era adorante quando mi voltai e presi il volto di mio marito fra le mani. “Sei il migliore di tutti.” Lo guardai dritto in quegli occhi in cui mi perdevo e mi ritrovavo allo stesso tempo, era l’unico uomo capace di spogliarmi fin dentro l’anima. “E nonostante io sia follemente innamorata di Chesney McKenna” pronunciai e Christian mise il broncio, “quel giorno al Top of the Rock non si può superare.”
“Perché mi hai messo in ginocchio?”
“Mi basta uno sguardo per segarti le gambe ancora oggi, Kelly.”
Ottenni un morso al labbro inferiore.
“Perché è stato il giorno in cui mi hai detto di amarmi e mi hai chiesto di non lasciarti più.” Scossi la testa, la gola chiusa da un nodo. “Ed è esattamente il mio piano per i prossimi cent’anni.”
Christian sorrise. Mi regalò quel sorriso, quello illegale che mi annientava ancora come quel primo giorno al Marco Polo e che rivolgeva solo a me e a nostra figlia. Quel sorriso capace di dire ti amo senza pronunciare le due paroline magiche. “Non riesco a immaginare programmi migliori, uragano.”
“Però più tardi mi devi uno striptease” lo canzonai.
Mi sollevò con dolcezza da terra e mi rubò il fiato con un bacio, attorno a noi McKenna e tutto il The Garden spettatori del nostro unico e infinito legame che avrebbe fatto impallidire anche le più famose canzoni d’amore.